Interviste e confronti: Maurizio Cilli, architetto e artista

 


Spazio ppp: Ciao Maurizio, ci descriveresti quali sono attualmente i tuoi campi di interesse e indagine?

Maurizio Cilli: Negli ultimi mesi sono stato molto impegnato nel definire i criteri e i contenuti teorici della seconda edizione del Festival dell’Architettura Bottom Up! promosso dalla Fondazione per l’Architettura di Torino. Si tratta di un progetto che curo con Stefano Mirti dal 2019, una formula inedita e sperimentale che rispetto ai modelli più tradizionali di Festival dell’Architettura produce un processo generativo di progetti a partire da una committenza dal basso. C’è poi la costante ricerca per i tanti e diversi progetti cross disciplinari di Nova Express: la rivista cartacea, della quale è in corso la preparazione della terza uscita, prevista per settembre 2022, e il lancio imminente di una Capsule digitale quotidiana per “Il Giornale dell’Arte”. Tutti lavori molto interessanti che nascono dalla collaborazione vulcanica con Gianluigi Ricuperati. È un momento molto denso di impegni diversi fra loro che non mi impediscono però di continuare le mie indagini sul “Nuovo Mondo” di Francesco Toris, una ricerca iniziata nel 2011, sulla quale spero molto presto di realizzare una restituzione definitiva.    



SPPP: Quali intellettuali sono stati, o sono tuttora, per la tua linea di ricerca, punto di riferimento e per quali motivi?

MC: Sono moltissimi. Per quanto riguarda il mio lavoro sulla città e più in generale sui territori antropizzati direi che è stato seminale avvicinare gli studi teorici del pensiero di Christian Norberg-Schulz, Joseph Rykwert e Robert Venturi, poi lo studio di movimenti complessi e frammentati come l’Internazionale Situazionista, il lavoro di Cedric Price e più in generale tutta l’avventura radicale, sino ad arrivare al lavoro teorico di Giancarlo De Carlo, Lucius Burckhardt e Bernard Rudofsky.
Per il mio lavoro più intimo e pulsionale, sul fronte artistico, le cose si fanno più complesse, è necessario, e per questo chiedo perdono, operare una semplificazione: il mio lavoro sarebbe molto diverso se non avessi approfondito il pensiero e subito la fascinazione per l'Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, i mondi e l’attitudine verso la ricerca infinita di Harald Szeemann, il suo fondo di materiali sul Monte Verità costituisce in assoluto uno dei miei fari. Poi ci sono alcuni artisti che amo e che rappresentano un modo di fare arte che da sempre è una fonte inesauribile di stimoli: Joseph Beuys, Edward Ruscha, Robert Smithson, Piero Manzoni e Alighiero Boetti.



SPPP: Qual è il progetto che hai realizzato o a cui hai co-partecipato finora che ti rappresenta maggiormente?

MC: Citerei tre fili rossi che si intrecciano fra loro: da un lato i progetti per la città, a partire dal 1993 con il lavoro nel collettivo città svelata fondato con Maurizio Zucca; poi glocalmap, primo geoblog libero della rete, nato mesi prima di google maps nell’inverno del 2005, situa.to, un osservatorio indipendente sul territorio metropolitano nato nel 2010 dalla stretta collaborazione con le curatrici di a.titolo, sino al più recente Bottom Up!. In altre direzioni lavorano le indagini sul “Palais Ideal” du facteur Cheval (2009 – 2012) e il “Nuovo Mondo” di Francesco Toris, (dal 2011) due opere straordinarie di lucida follia. Il terzo filo è più fragile e intimo nel quale inserirei il lavoro sul Cottolengo, "G.B.C. Gift Beyond Charity", una stimolante collaborazione con l’artista greca Mary Zygouri del 2012 – 2013, a seguire direi la restituzione di un lungo periodo di residenza per il progetto Pianpicollo Research Recidency in Altalanga, un programma curato da Alice Benessia con gli artisti Caretto & Spagna, dal quale è nato durante il 2018 “l’oro di Pianpicollo Selvatico”. Infine, il progetto “senza casa senza cosa” nato nel 2018 per la mostra “999 domande sull’abitare contemporaneo” curata da Stefano Mirti per la Triennale di Milano e proseguito con la pubblicazione del libro per Boîte Editions, Lissone 2020.     


SPPP: Gli ultimi anni ci hanno forzato ad immaginare e ridefinire alcune modalità della vita comunitaria e la nostra relazione con i centri abitati. Data anche l’esperienza di “Bottom up” (Il festival di architettura di Torino, 2020), quali credi siano i più importanti processi di trasformazione in atto, volti a definire l’immediato futuro del nostro vivere?

MC: Abbiamo vissuto una condizione inimmaginabile, il senso di una paralisi delle nostre vite, il
cammino spezzato della contemporaneità. Il tempo del mondo esposto alla paura di un vuoto abitato di domande senza risposta. Una lacerazione senza rimedi apparenti, il mondo degli uomini
che diventa colpevole, il principio del tempo dell’uomo citato a giudizio. Ecco, in primo luogo questo, dobbiamo essere consapevoli che immaginare la sostenibilità della vita sulla terra dipende in senso stretto da quanto saremo in grado di accettare di essere parte di un tutto al pari delle biodiversità vegetali e animali. Si tratta di una riprogrammazione urgente e radicale. In questo senso di grande conforto sono i sofisticati pensieri del filosofo Emanuele Coccia. Questo implica necessariamente anche un modo diverso di prendersi cura dei luoghi in cui viviamo e abitiamo. Se nella sfera privata immagino e auspico un generale ripensamento del significato di casa: spazio oggi votato a una maggiore versatilità, capace di accogliere la dimensione intima del domestico e contemporaneamente essere declinato e attrezzato per accogliere lo spazio individuale del lavoro, dobbiamo tuttavia, ripensare agli spazi del vivere comune nelle città. Credo sia molto urgente, per costruire una visione stabile di futuro, riassegnare centralità alle questioni ambientali e al progetto degli spazi pubblici.  



SPPP: La società europea, e occidentale in generale, è in una fase di forte e veloce trasformazione. Come credi che stia rispondendo il mondo culturale a tali cambiamenti? Quale atto poetico, secondo te, potrebbe stabilire un nuovo equilibrio?

MC: Siamo chiamati a dare risposta a una sfida particolarmente suggestiva. Ciò che immagino e che le nostre vite e i luoghi in cui amiamo relazionarci siano abilitati culturalmente da migliaia di piccoli atti poetici. In questo senso i linguaggi contemporanei dell’arte possono rivestire un ruolo decisivo e trainante per la cultura del progetto. Credo sia importante risignificare l’espressività dei luoghi che abitiamo attraverso la simbolizzazione dello spazio pubblico come contesto abilitante. Ciò che va ricercato è l’artefice magico, quel legame indissolubile che produce in una comunità il senso dell’appartenenza verso un luogo e attraverso il quale far prevalere il primato del desiderio sul bisogno e del simbolico sullo spazio.

Link a progetti:
“L’oro di Pianpicollo Selvatico”


Instagram: mauriziocilli


La Pietra di Pianpicollo Selvatico - ph. Alice Benessia 2018