Interviste e confronti: Klaas Burger, artista
photo credit: Lars de Nijs. |
SpazioPPP: Ciao Klaas, ci illustreresti brevemente qual è la natura del tuo lavoro e della tua ricerca?
Klaas Burger: Sono un artista che lavora nello spazio pubblico, su questioni pubbliche. Siccome 'l'arte' attrae solo un tipo specifico di persone e voglio anche collaborare con gli altri, utilizzo strategie sotto copertura. Quindi, per favore, non chiamarmi artista. Alcuni chiamano la mia pratica impegnata o sociale. Ma non so dirti. Questo significa che le altre pratiche sono asociali? Semplicemente amo la realtà sociale. La disuguaglianza che uno può trovare qui, è una grande fonte di conoscenza e immaginazione. Ho scelto di lavorare all'interno di questa realtà a lungo termine. Ad esempio, da molti anni lavoro con Hajrija Salkanovic, i suoi figli e i suoi nipoti. Insieme a Stefany Karghoti e a una super troupe, abbiamo girato un film sulla storia della sua vita. Nella prima parte lei racconta di come è fuggita dalla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale ed è arrivata in Italia. Alcuni membri della sua famiglia vivono ancora nel Campo Nomadi di Torino. Nella seconda parte abbiamo invece rievocato l'arrivo di Hajrija e della sua famiglia nei Paesi Bassi. Con quasi 30 membri della famiglia abbiamo interpretato un copione basato sulla copertura mediatica del loro arrivo nei primi anni '70. Questo è stato strabiliante, perché la famiglia non aveva avuto accesso a quei giornali e programmi televisivi del tempo. Quindi la rievocazione è stata anche imparare a conoscere questa copertura mediatica e a capire quanto la gente comune fosse di parte ed avesse pregiudizi riguardo ai Rom. Da un lato non è cambiato nulla. Il pregiudizio esiste ancora. Ma dall’altro lato, c'è un grande cambiamento: ora loro conoscono la lingua e hanno accesso all'arte e alla cultura. Quindi abbiamo creato questo film. Il film è stato presentato in anteprima lo scorso autunno come installazione allo Stedelijk Museum di Breda e come film al Chasse Cinema, sempre a Breda, dove vive una parte della famiglia. Mi piacerebbe mostrarlo a Torino, o a Roma, dove Hajrija e la sua famiglia hanno vissuto qualche tempo nel Campo Nomadi di Via Casilino 900.
SPPP: Nei dieci anni di nostra conoscenza abbiamo potuto osservare una radicale trasformazione del tuo ruolo come artista (se così intendi definire la tua figura). Quali sono state le tappe fondamentali nel tuo processo di cambiamento?
KB: Il momento più importante è stato quando ho iniziato a capire che il mio lavoro è molto più accessibile e sostenibile quando non lavoro da solo, quando non creo questo marchio artistico commerciale chiamato Klaas Burger. Così ho portato la mia pratica artistica all'interno di un'organizzazione. Si chiama Accademia della Percezione (in olandese: Academie voor Beeldvorming). Da allora è molto più facile collaborare con altre persone, con ricercatori, giornalisti, politici o altri artisti. Già solamente il nome funziona come un cavallo di Troia. Chi non vuole collaborare con una scuola? Lavorando in questo modo, sono stato in grado di estendere la durata dei processi in cui vengono create le opere d'arte e di essere fedele a persone e argomenti. Questa lealtà crea molta più influenza dello status istituzionale. Scrivendo questo, ricordo anche come mi ispirò Enzo Mari. Soprattutto la sua Autoprogettazione: un buon design è trasferimento di conoscenza. Quando ciò non accade e la conoscenza è nascosta nello status istituzionale o nel comportamento elitario, è uguale al fascismo. Quindi posso anche dirlo molto semplicemente: nel corso degli anni mi sono radicalizzato.
SPPP: Hai progetti che vorresti realizzare, che non hai ancora realizzato o che stai realizzando, di cui vorresti parlare?
Ma questo non è l'unico progetto su cui sto lavorando. Sto anche collaborando con un ospedale sulla questione di come prepararsi alla morte. Perché moriremo tutti. Ma non siamo abituati a parlarne.
SPPP: In che modo pensi che la vita in Nord Europa abbia influito nella tua ricerca artistica? Abbiamo ricordo di te come di un ricercatore con la forte vocazione al nomadismo culturale.
KB: Come artista bianco olandese sono molto privilegiato, lavoro in una società con una valuta molto forte e grandi opportunità di visto. Questo mi ha dato molte opportunità di viaggiare all'estero e di fare residenze. Negli anni ho imparato come questo nomadismo culturale non sia molto equo e sostenibile. Da un lato c'è l'élite culturale mobile, visibile ad esempio nelle Capitali Europee della Cultura. Dall'altra parte c'è la migrazione per povertà e la migrazione per lavoro. Ecco perché ho iniziato a collaborare con queste persone viste come 'migranti per lavoro'.
SPPP: La società europea, e occidentale in generale, è in una fase di forte e veloce trasformazione. Come credi che stia rispondendo il mondo culturale a tali cambiamenti? Quale atto poetico, secondo te, potrebbe ristabilire un nuovo equilibrio?
KB: In una società che cambia, c'è un grande bisogno di un terzo spazio dove poter progettare, discutere e tentare prospettive future. Quando lavoriamo o andiamo a scuola, le scadenze sono brevi. In alcuni anni finisci la scuola. In un anno devi raggiungere questo obiettivo. Una startup potrebbe pianificare con tre anni di anticipo. In politica si pensa alle prossime elezioni, con massimo quattro anni di anticipo. Solo nel campo dell'arte e della cultura, discutiamo delle narrazioni e dell'immaginazione delle generazioni passate e future, e degli equilibri di potere e delle idee che ne derivano. Quindi, trasferire la mia influenza come artista a persone che hanno davvero bisogno di queste nuove prospettive, questo è l'atto più poetico che possa immaginare. Ma è comunque difficile. Perché è davvero difficile sbarazzarsi del potere. Il potere è davvero appiccicoso.
Spazio PPP: Hi Klaas, would you briefly illustrate the nature of your job and research?
Klaas Burger: I’m an artist working in public space, on public issues. But because 'art' only attracts a specific kind of people and I also want to collaborate with others, I use undercover strategies. So please do not call me an artist. Some call my practice engaged or social. But I don't know about this. Does this mean other practices are asocial? I just love the social realm. The inequality one can find here is a great source of knowledge and imagination. And I choose to work within this realm on a longterm basis. For example, for many years I've been working with Hajrija Salkanovic, her children and grandchildren. Together with Stefany Karghoti and a great crew we made a movie about her life story. In the first part she tells about how she fled Yugoslavia after the Second World War and arrived in Italy. Some of her family members still live in the Campo Nomadi di Torino. In the second part we re-enacted the arrival of Hajrija and her family in The Netherlands. With nearly 30 family members we played a script based on media coverage about their arrival in the early 1970's. This was mind-blowing, because then the family didn't have access to these newspapers and television programs. So the re-enactment was also learning to know this media coverage and to understand how biased average people were about Roma. On the one hand nothing changed. The bias still exists. But on the other hand, there is a big change: now they know the language and have access to art and culture. So we created this movie. The movie premiered last autumn as an installation in the Stedelijk Museum Breda and as a movie in Chasse Cinema, also in Breda, where a part of the family lives. I would love to show it in Torino, or in Rome, where Hajrija and her family lived some time in Campo Nomadi di Via Casilino 900.
SPPP: In the ten years of our friendship we have been able to observe a radical transformation of your role as an artist (if you mean to define your figure). What were the milestones in your change process?
KB: The most important moment was when I started to understand that my work is far more accessible and sustainable when I'm not working alone, when I'm not creating this commercial artistic brand called Klaas Burger. So I brought my artistic practice inside an organisation. It's called the School of Perception (in Dutch: Academie voor Beeldvorming). Since then it's much easier to collaborate with other people, with researchers, journalists, policy makers or other artists. Just the name of it functions as a Trojan Horse. Who doesn't want to collaborate with a school? Working like this, I have been able to extend the duration of the processes in which artworks are created and be loyal to people and topics. This loyalty creates much more influence than institutional status. Writing this, I remember also how Enzo Mari inspired me. Especially his Autoprogettazione: good design is knowledge transfer. When this doesn't happen and the knowledge is hidden in institutional status or elitist behavior, it equals fascism. So you can also put it very simply: through the years I radicalized.
SPPP: Do you have projects that you would like to realize/that you have not yet implemented/or that you are already working on, that you would like to talk about?
But this is not the only project I'm working on. I'm also collaborating with a hospital on the question how to train death. Because we all will die. But we're not used to talking about it.
SPPP: How do you think life in Northern Europe has influenced your research? We remember you as a researcher with a strong vocation for cultural nomadism.
KB: As a white Dutch artist I'm very privileged, working in a society with a very strong currency and great visa opportunities. This gave me lots of opportunities to travel abroad and to do residencies. Through the years I learned how this cultural nomadism is not very fair and sustainable. On the one hand there's the mobile cultural elite, visible eg in European Capitals of Culture. And on the other hand there's poverty migration and labour migration. That's why I started collaborating with these people seen as 'labour migrants'.
SPPP: European society, and Western society in general, is in a phase of strong and rapid transformation. How do you think the cultural world is responding to these changes? Which poetic act, in your opinion, could create a new balance?
KB: In a changing society, there is a great need for a third space where we can sketch, discuss and try out future perspectives. When we work or go to school, timelines are short. In some years you finish school. In one year you have to reach this goal. A startup might plan three years in advance. In politics, one thinks about the next elections, max four years ahead. Only in the realm of art and culture, we discuss the narratives and imagination of the past and next generations, and the power balance and ideas that come with it. So transferring my influence as an artist to people who really need these new perspectives, that's the most poetic act I can imagine. But still, it's hard. Because it's really hard to get rid of power. Power is really sticky.
Still from "(R)OMA: a (family) history". (c) Academie voor Beeldvorming |